lunedì 2 aprile 2012

Per telelavorare, bisogna educare

Nella percezione collettiva, un modello culturale, lavorativo, o sociale, diventa un qualcosa di percepito come normale, nel momento in cui come in una sorta di scuola della vita, si viene educati al mutamento.


Il telelavoro, prima ancora di essere una parola che identifica un approccio relativamente nuovo a modelli lavorativi che non sono più adeguati ai tempi, dall'altra è anche vero che l'educazione è il primo passo.


Ma questa educazione deve essere la precisa volontà di un apparato pubblico, in condivisione con una struttura privata, che decide di investire in corsi finalizzati all'approccio a nuovo modelli di lavoro.


Questa non è assolutamente una strada non percorribile,ma deve nascere da una precisa e urgente consapevolezza, che il tempo per creare un cambiamento di tipo culturale, è arrivato.


Il telelavoro non è una parola scritta su progetti pilota appartenenti a nicchie di tipo lavorativo precise specifiche, e al di là di quello non può essere applicato a nessun altro contesto di lavoro.


Il cuore pulsante del problema italiano è proprio questo, concepire una realtà come possibile soluzione solo di nicchia, dove magari questo essere di nicchia, potrebbe invece rappresentare una soluzione a molti problemi.


Se in questi giorni la riforma dell'articolo 18 occupa le pagine di tutti i giornali, e l'attenzione di tutti è legata a questa realtà, di fatto ancora una volta non abbiamo centrato il cuore del problema.


Il problema è cercare in realtà già esistenti e concrete, Digital Goods Ltd docet, soluzioni a problemi che nel nostro paese, sembrano trascinarsi da molto tempo, senza trovare una loro concretizzazione.


Ancora una volta la redazione di lavoroinremoto, crede fermamente che i cambiamenti, possano avvenire, tramite una educazione alle cose nuove, a modelli alternativi.


http://lavoroinremoto.blogspot.it/2012/04/telelavoro-e-distanza-mentale.html

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